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Berit HEGGENHOUGEN-JENSEN


(1956)

Berit Heggenhougen-Jensen nasce a Copenaghen nel 1956. Frequenta la Reale accademia danese di belle arti (1978-1983 e 1989-1990) e l’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi (1999-2004) emergendo sulla scena artistica in un momento cruciale di riorientamento.

Parte attiva di una generazione rivoluzionaria, Heggenhougen-Jensen irrompe sulla scena dell’arte contemporanea danese con l’esposizione di gruppo del 1982 Kniven på hovedet (il coltello sulla testa), ora associata alla fondazione del “De Unge Vilde” (i nuovi giovani selvaggi) danese, ispirato all’omonimo movimento tedesco di qualche anno prima.

All’interno della peculiare scuola concettuale non ortodossa da cui proviene, Heggenhougen-Jensen si ritaglia la propria nicchia padroneggiando il distanziamento ironico, che dà vita a una potente forma di liberazione. Nel complesso la sua opera è caratterizzata dall’unità, sebbene questa sia raggiunta principalmente mettendo in evidenza il legame e la simbiosi mancanti.

Nel corso degli anni la sua opera è costellata da vari motivi e soggetti. Negli anni ’80 la cultura nativa americana presta i suoi colori vivaci a una ricerca della materialità intrapresa dall’artista. A queste figure seguono poi paesaggi idilliaci. Il genere senza tempo del paesaggio riappare negli anni ’90, seppure più inquietante e stranamente simbolico.

Di recente viene coinvolto un elemento meno tangibile: l’inconscio. Nello specifico, e secondo quanto dichiarato dall’artista stessa, si tratta dell'”espressione e del ruolo [dell’inconscio] in quella che chiamiamo democrazia; in termini storici, etimologici e sociali, nonché a livello culture e politico”. Questa necessità deriva da un’osservazione molto semplice: si sa molto del conscio, molto meno della sua controparte. È volutamente ignorato o messo da parte? Berit Heggenhougen-Jensen cerca di rispondere proprio a queste domande.

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